Con la sentenza n. 43 depositata il 15 aprile 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del decreto-legge 28 novembre 1988, n. 511 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale e locale), convertito, con modificazioni, nella legge 27 gennaio 1989, n. 20, come sostituito dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26 (Attuazione della direttiva 2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità).
In pratica la Consulta ha stabilito che l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, (peraltro abrogata nel 2012) non è in linea con il requisito della finalità specifica richiesto dal diritto dell’Unione europea, poiché la norma che istituisce il tributo prevede solo una generica destinazione del gettito “in favore delle province”.
Con ordinanza iscritta al n. 20 reg. ord. 2022, il Tribunale di Udine, seconda sezione civile, aveva sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito.
Il rimettente riferiva di essere chiamato a pronunciarsi sulla domanda di ripetizione dell’indebito versamento dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica che la società fornitrice aveva traslato nei confronti delle proprie clienti.
Affermava quindi di condividere l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione secondo cui la disposizione censurata sarebbe in contrasto con la direttiva 2008/118/CE; tuttavia, poiché al giudice è precluso il potere di disapplicare la norma nazionale nei rapporti orizzontali fra privati, solleva questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 6, commi 1, lettera c), e 2, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. sotto il profilo del «mancato rispetto dei vincoli gravanti sulla potestà legislativa statale e derivanti dall’ordinamento U.E.».
La sentenza è stata emessa in linea con il predetto orientamento ed anche considerando l’effetto prodotto dalla sentenza della Corte di giustizia 11 aprile 2024, causa C-316/22, “Gabel industria tessile spa e Canavesi spa”.
In tale pronuncia la Corte UE ha innovato il proprio precedente orientamento, seppur parzialmente.
Da un lato, infatti, questa pronuncia ha ribadito che «l’articolo 288, terzo comma, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice nazionale disapplichi, in una controversia tra privati, una norma nazionale che istituisce un’imposta indiretta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta».
Dall’altro, però, rispetto all’impostazione tradizionale secondo cui solo l’impedimento di fatto, e non anche quello giuridico, può consentire al privato di agire direttamente nei confronti dello Stato, ha ritenuto che la disposizione nazionale di cui si discuteva, cioè proprio il ricordato art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, «viola il principio di effettività».
Pur mantenendo fermo che il giudice interno non può disapplicare, nell’ambito di una controversia tra privati, la norma nazionale che è in contrasto con la direttiva, la Corte di giustizia ha ora riconosciuto che il cliente del servizio di fornitura di energia elettrica deve potere esercitare un’azione diretta nei confronti dello Stato anche nel caso di impossibilità giuridica di agire contro il fornitore. Ciò in conseguenza del fatto che il giudice civile, constatata la preclusione della strada della non applicazione, dovrebbe sempre rigettare la domanda di ripetizione di indebito proposta dal cliente nei confronti del fornitore e basata sulla contrarietà dell’imposta alla direttiva.
Tuttavia, tale possibilità ‒ ora riconosciuta anche dalla giurisprudenza di legittimità a seguito della citata sentenza della Corte di giustizia (tra le altre, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 29 luglio 2024, n. 21154) ‒ di esercitare direttamente l’azione di ripetizione di indebito da parte del cliente nei confronti dello Stato, secondo la Corte Costituzionale, non priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Udine, il cui esito è comunque destinato a riflettersi nel giudizio in corso, che attiene, invece, alla richiesta del cliente di ottenere la restituzione di quanto corrisposto al proprio fornitore tramite la diversa azione di ripetizione dell’indebito nei confronti di quest’ultimo.
La verifica del rispetto da parte della disposizione nazionale della direttiva 92/12/CEE e, poi, della direttiva 2008/118/CE, richiede di precisare quali condizioni sono richieste ai legislatori degli Stati membri al fine di introdurre nei propri ordinamenti interni imposizioni fiscali aggiuntive all’accisa sull’energia elettrica.
Al riguardo, la Corte di giustizia ha chiarito, con riferimento alla direttiva 2008/118/CE, che «[s]econdo una lettura congiunta dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 1 di quest’ultima direttiva, i prodotti sottoposti ad accisa ai sensi della richiamata direttiva possono essere oggetto di un’imposizione indiretta diversa dall’accisa istituita da tale direttiva se, da un lato, tale imposizione è prelevata per una o più finalità specifiche e se, dall’altro, essa rispetta le regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta, regole queste che non includono le disposizioni relative alle esenzioni» (Corte di giustizia, terza sezione, sentenza 5 marzo 2015, causa C-553/13, Tallinna Ettevõtlusamet).
10.1.‒ Dunque, affinché gli Stati membri possano introdurre, sul consumo di energia elettrica, imposte indirette ulteriori rispetto alle accise occorrono due condizioni, applicabili cumulativamente: 1) le imposte addizionali devono avere una finalità specifica; 2) le imposte addizionali devono rispettare le regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta.
Alla luce di tali criteri ermeneutici deve escludersi che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica rispetti il requisito della finalità specifica, dal momento che il citato art. 6, al comma 1, lettera c), prevede solo una generica destinazione del gettito dell’addizionale provinciale «in favore delle province», che trova conferma nel preambolo del d.l. n. 511 del 1988, nella quale si afferma che le misure impositive in esso previste sono rivolte ad «assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l’assolvimento dei compiti istituzionali».
Tale conclusione trova pieno conforto nella giurisprudenza di legittimità, che, nel ritenere non applicabile il suddetto art. 6 per contrasto con le menzionate direttive, ha precisato che la citata finalità non è «in grado di essere distinta dalla generica finalità di bilancio» (Cass., n. 27101 del 2019, confermata, da ultimo, da Corte di cassazione, sezione tributaria, ordinanza 11 settembre 2024, n. 24373).
Secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, peraltro, nemmeno è riscontrabile «un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione» che consiste nella riduzione dei «costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola nonché [nella promozione della] coesione territoriale e sociale» (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 28 luglio 2020, n. 16142).