La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 32679 del 16 dicembre 2024 (Pres. Paolitto, Rel. Lo Sardo) torna sulla questione della prescrizione dei crediti esattoriali derivanti da cartelle non impugnate, ribadendo alcuni principi già precisati dalle Sezioni Unite nella celebre sentenza n.23397 del 17.11.2016. Sentenza che pareva avere aperto alla prescrizione quinquennale per i tributi costituenti prestazioni periodiche, applicando la regola che si usa per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” (art. 2948 Codice Civile).
La Corte premette il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ..
Detto principio si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via; pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23397).
Si rammenta poi che la Corte in successive pronunce ha ribadito che, in tema di riscossione mediante ruolo, la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione alla cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, non produce la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. (Cass., Sez. 6-5, 3 maggio 2019, n. 11760).
Tuttavia i diversi tributi soggiacciono al termine ordinario decennale di prescrizione, se la legge non prevede termini prescrizionali differenti.
In particolare, con riferimento ad IRPEF, IRES, IRAP ed IVA, il diritto alla riscossione dei tributi erariali, in mancanza di un’espressa disposizione di legge in senso contrario, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni (art. 2946 cod. civ.) e non nel più breve termine quinquennale (art. 2948, n. 4, cod. civ.), non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta (tra le tante: Cass. Sez. 6-5, 11 maggio 2018, n. 11555; Cass., Sez. 6-5, 11 dicembre 2019, n. 32308; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2019, n. 10547; Cass., Sez. 6- 5, 26 giugno 2020, n. 12740; Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8500; Cass., Sez. 6-5, 25 maggio 2021, n. 14346; Cass., Sez. 6-5, 6 luglio 2021, n. 19106; Cass., Sez. 5, 19 luglio 2021, n. 20638; Cass., Sez. 65, 20 maggio 2022, n. 16395; Cass., Sez. 5, 29 novembre 2023, n. 33213).
Nel caso specifico la Corte censura quindi la sentenza della CTR che aveva ritenuto applicabile la regola dell’art. 2948 Codice Civile. Sulla lettura che, per quanto si tratti di tributi (IRES, IRPEF; IVA, IRAP) che certamente debbono “pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” richiedono una “valutazione del presupposto” in relazione a ciascun anno. Il che a dire il vero non appare un procedimento di lettura particolarmente chiaro.