CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 11 settembre 2024, n. 24387

by Luca Mariotti

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Svolgimento del processo

La CTP di Matera rigettava i ricorsi proposti da A.A. avverso due avvisi di liquidazione (emessi in sostituzione di altri due precedenti avvisi), relativi all’anno 2016, con i quali l’Agenzia delle entrate riliquidava, rispettivamente, maggiore IVA e maggiore imposta sostitutiva sul finanziamento, a seguito del disconoscimento delle agevolazioni c.d. prima casa in relazione ad un acquisto di un immobile in Altamura, avvenuto con atto stipulato in data 6.06.2016, avendo il contribuente già beneficiato della relativa agevolazione in relazione ad altro immobile acquistato in Matera nel 2010.

Contestualmente dichiarava inammissibili i ricorsi proposti avverso gli avvisi sostituiti.

Con la sentenza in epigrafe indicata, la CTR della Basilicata rigettava l’appello proposto dal contribuente, osservando, per quanto qui rileva, che:

– con i primi avvisi di liquidazione, l’Ufficio aveva riliquidato le imposte, avendo revocato i benefici invocati con l’atto di acquisto del 2016, in quanto il contribuente ne aveva già fruito nell’anno 2010; infatti, in occasione del secondo acquisto, lo A.A. aveva taciuto di avere già beneficiato dell’agevolazione e di avere affidato l’immobile ad un trustee;

– in data 24.04.2018 il contribuente aveva comunicato all’Agenzia delle entrate che sui beni acquistati nel 2016 con l’agevolazione “prima casa” aveva costituito l’usufrutto a favore del trust Little Soul, riservandosi la nuda proprietà, e che ciò comportava, a suo avviso, la decadenza parziale dal beneficio;

– l’Ufficio aveva annullato i primi due avvisi di liquidazione e ne aveva emessi due nuovi che erano una mera integrazione dei precedenti con riferimento alla circostanza che l’affidamento del precedente immobile al trustee non faceva venire meno il divieto di reiterazione del beneficio;

– i due nuovi avvisi, quindi, non costituivano un accertamento integrativo, in quanto l’annullamento in autotutela non sarebbe stato comunque necessario, atteso che la circostanza dell’affidamento al trustee ben poteva essere eccepita anche in sede contenziosa;

– il contraddittorio preventivo era stato rispettato nel momento in cui il contribuente aveva chiesto la revoca parziale del beneficio, comunicando di avere affidato al trustee l’immobile acquistato nel 2016 e l’Ufficio non solo aveva annullato i primi due provvedimenti, ma li aveva sostituiti con altri motivando in ordine alla richiesta della parte;

– peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di benefici fiscali prima casa non vi erano norme specifiche sul contraddittorio preventivo e comunque non era stata offerta la c.d. prova di resistenza;

– con riferimento all’atto di acquisto del 6.06.2016, riguardante l’abitazione di Altamura non ricorrevano le condizioni prescritte dalla legge per beneficiare della agevolazione c.d. prima casa, atteso che lo A.A. aveva dichiarato di essere residente a Matera e non ad Altamura e non risultava che egli avesse trasferito la propria residenza entro il termine di diciotto mesi; inoltre, lo A.A. era titolare di diritti reali su due case di abitazione, acquistate con le agevolazioni c.d. prima casa, rispettivamente, nel 2006 e nel 2010, entrambe affidate ad un trustee, come risultava, per il primo affidamento, nell’atto di acquisto del 2010 e, per il secondo affidamento, dallo stesso atto prodotto dal contribuente in giudizio;

– ciò non solo rendeva mendace la dichiarazione contraria resa dal contribuente nell’atto di acquisto, ma faceva venir meno uno dei presupposti a cui è condizionata l’agevolazione e, cioè, che l’acquirente non deve essere titolare, su tutto il territorio nazionale, di diritti reali su altra casa, acquistata con analoghe agevolazioni;

– se la ratio della norma è quella di favorire l’acquisto della prima casa, non poteva essere tollerata una diversa interpretazione che consentisse di aggirare le finalità della legge, consentendo plurimi acquisti agevolati, suscettibili di ripetersi all’infinito, in violazione del principio di capacità contributiva;

– gli atti di affidamento al trustee non solo erano mendaci, ma, non avendo privato il contribuente del diritto reale sugli immobili, non avevano realizzato l’effetto voluto; ed invero, poiché a favore del trustee non si realizza alcun incremento patrimoniale, la proprietà rimane in capo al conferente che con l’atto di conferimento, restringe i suoi poteri di disposizione, affidati al trustee in attesa che il trasferimento si realizzi a favore del beneficiario finale, secondo le finalità proprie del trust;

– con riferimento all’atto di affidamento del 17.05.2016, infatti, la clausola di cui all’art. 1 prevedeva che il disponente affidava al trustee la piena proprietà del complesso immobiliare acquistato nel 2010, ma le successive disposizioni militavano nel senso di qualificare detta attribuzione come un fatto formale, laddove la proprietà rimaneva in capo allo A.A.;

Contro la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione A.A., affidato a sei motivi.

L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2-quater, D.L. n. 564 del 1994, conv. con modificazioni dalla L. n. 656 del 1994 e del D.M. n. 37 del 1997 (disciplina dell’autotutela sostitutiva), 57, co. 4, D.P.R. n. 633 del 1972 (disciplina dell’accertamento integrativo ai fini IVA), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, rilevando che, sebbene il giudice di appello avesse “riscontrato (in fatto)” la “sanatoria” del vizio motivazionale che inficiava i due avvisi di liquidazione originariamente emessi, ha poi erroneamente ritenuto corretto l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva, sul presupposto che non fosse necessario, senza considerare che in materia tributaria esiste una disciplina speciale in materia di autotutela sostitutiva, che prevale sulle norme generali, e va coordinata con la disciplina relativa all’accertamento integrativo ai fini IVA, nonché con le norme tributarie sostanziali e processuali, che impediscono all’Ufficio e al giudice tributario di modificare e/o integrare in sede contenziosa il difetto di motivazione dell’atto impositivo; sostiene, inoltre, che, all’epoca dell’emissione dei due originari avvisi di liquidazione, era già nota all’Ufficio la circostanza relativa all’affidamento degli immobili precedentemente acquistati al trustee e, quindi, la necessaria situazione di “impossidenza” del contribuente al momento dell’acquisto dell’immobile con l’agevolazione “prima casa”, sicché l’esercizio del potere di autotutela è servito solo per evitare “il quasi certo riscontro processuale del vizio di motivazione e il conseguente annullamento degli originari avvisi di liquidazione impugnati”; aggiunge che la motivazione non costituisce un mero requisito formale, in quanto condiziona il contenuto sostanziale del provvedimento impositivo.

1.1 Il motivo è infondato.

1.2 Come risulta dalla sentenza impugnata e dal contenuto degli atti impositivi, riassunto nel testo del ricorso per cassazione, i successivi avvisi di liquidazione, emessi in autotutela, nelle more della fase di reclamo – mediazione ex art. 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, instaurata dal contribuente con l’impugnazione degli originari atti impositivi, non hanno modificato la pretesa impositiva e sanzionatoria, essendosi limitati ad integrare la motivazione degli atti con la circostanza relativa all’atto di affidamento dell’immobile di Matera al trustee in data 17.05.2016.

1.3 Ciò premesso, per quanto riguarda il quadro normativo dell’istituto dell’autotutela, va rilevato che l’art. 2 quater, comma 1, del decreto – legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656 dispone che: “Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione”.

1.4 L’art. 1 del D.M. n. 37 del 1997 prevede che “Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento spetta all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende”; l’art. 2, comma 1, poi, prevede che “1. L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, quali tra l’altro: a) errore di persona; b) evidente errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell’imposta; d) doppia imposizione; e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione”.

1.5 Dalle norme richiamate si evince, quindi, che l’Amministrazione finanziaria, può procedere, a norma dell’art. 2 del D.M. n. 37 del 1997, all’annullamento, anche parziale, dell’atto, nelle ipotesi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, la cui tipologia è individuata, in modo non tassativo, dallo stesso art. 2, primo comma, del D.M. cit.

1.6 Secondo il costante orientamento di questa Corte, “Il potere di autotutela dell’Amministrazione ha carattere generale e, pertanto, può essere legittimamente esercitato sino al momento in cui non si sia formato il giudicato sull’atto oggetto dello stesso ovvero, al contempo, sino a che non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi di imposta, per l’emissione del nuovo avviso di accertamento” (ex multis Cass. 2 febbraio 2022, nn. 3267 e 3268), atteso che “l’esercizio del potere di autotutela è non solo legittimo, ma corrisponde a un preciso potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria, la quale è onerata, in virtù del c.d. “principio di perennità”, a sostituire l’atto annullato con un nuovo atto, ancorché di contenuto identico a quello annullato, privo dei vizi originari dello stesso” (Cass. 18 maggio 2021, n. 13407).

1.7 Questa Corte ha anche affermato che l’autotutela sostitutiva, che può intervenire anche in pendenza di giudizio, perché l’emissione del primo atto non consuma il potere di imposizione, può essere esercitato anche per rimuovere vizi sostanziali e non meramente formali del provvedimento (Cass. 1 marzo 2022, n. 6621; Cass. 6 luglio 2020, n. 13807).

1.8 È stato precisato, tuttavia, che “In tema di accertamento delle imposte, la sostituzione in autotutela dell’avviso di accertamento è istituto diverso dall’accertamento integrativo, in quanto soltanto quest’ultimo può fondarsi sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi fatti di evasione, sicché l’avviso che abbia sostituito quello annullato in autotutela, ove incrementativo della ripresa a tassazione, non può fondarsi sulla mera rivalutazione fattuale e giuridica degli stessi elementi posti a fondamento di quello annullato, ma, in forza di quanto previsto dall’ art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 (vigente “ratione temporis”), su elementi in precedenza non conosciuti dall’Ufficio accertatore ed in questo senso essere adeguatamente motivato” (Cass. 16 marzo 2020, n. 7293).

1.9 Dalla giurisprudenza sopra riportata si evince, dunque, che l’avviso di accertamento emesso in sostituzione di un altro precedentemente annullato non si risolve in una mera integrazione di quest’ultimo, ma costituisce esercizio dell’ordinario potere di accertamento, e la sua emissione non presuppone la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, come prescritto dall’art. 43, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (e, in materia di IVA, dall’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 644 del 1972), ma può aver luogo anche sulla base di una diversa e più approfondita valutazione di quelli già in possesso dell’Ufficio, purchè non venga incrementata la ripresa a tassazione.

1.10 Nella specie è pacifico che negli avvisi di liquidazione, emessi in autotutela, la pretesa impositiva e sanzionatoria era rimasta invariata, avendo l’Ufficio solo integrato la motivazione degli atti precedenti e la pendenza della fase di reclamo – mediazione, instaurata dal contribuente nei confronti dei primi avvisi di liquidazione, non rappresentava un ostacolo all’esercizio di tale potere sostitutivo.

2. Con il secondo motivo, deduce la violazione del principio giuridico unionale che stabilisce l’obbligo della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale nei procedimenti di accertamento dei tributi armonizzati, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nel ritenere che l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva, nelle more della procedura amministrativa del reclamo/mediazione, avesse sostituito il contraddittorio endoprocedimentale, poiché il contraddittorio doveva essere attivato prima della emissione dei due originari avvisi di liquidazione; sostiene, inoltre, che per superare la prova di resistenza non era necessario dimostrare di avere ragione nel merito, ma solo che l’eccezione non era meramente “pretestuosa” e, cioè, che il contribuente avrebbe avuto “delle ragioni da far valere”; nella specie, il contribuente avrebbe (quantomeno) potuto spiegare gli effetti giuridici verificatasi a seguito del conferimento in trust dell’immobile sito in Matera e acquistato nel 2010, analizzando e spiegando le singole clausole negoziali dell’atto istitutivo del trust, al fine di dimostrare l’avvenuta perdita del possesso e di qualsiasi titolo giuridico e/o diritto dominicale su tale bene; aggiunge, infine, che il precedente giurisprudenziale richiamato dal giudice di appello, per escludere l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo in materia di disconoscimento dell’agevolazione “prima casa”, non era pertinente, in quanto non riguardava tributi armonizzati.

2.1 Il motivo è infondato.

2.2 Come ha più volte rilevato questa Corte, per le modalità di svolgimento del contraddittorio non viene prescritta alcuna forma vincolata, per cui va ribadito il principio, secondo il quale è sufficiente (e necessario) che detto contraddittorio, quando previsto, “si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obiettivo” (Cass. 19.07.2021, n. 20436; Cass. 8.07.2024, n. 18489).

2.3 Nella specie, risulta che, prima della notifica degli avvisi di liquidazione, lo stesso contribuente aveva fatto pervenire all’Ufficio una comunicazione con la quale informava che sul complesso immobiliare acquistato nel 2016, con l’agevolazione prima casa, aveva costituito l’usufrutto a favore di un trust, riservandosi la nuda proprietà, e di tale circostanza l’Ufficio aveva dato atto negli avvisi emessi nell’esercizio del potere di autotutela.

2.4 Il contatto instaurato con il contribuente in tale occasione era sicuramente idoneo ad essere qualificato quale contraddittorio endoprocedimentale e l’Amministrazione finanziaria non aveva più alcun obbligo di sollecitarlo ulteriormente.

2.5 Non risulta, in ogni caso, che il contribuente abbia indicato nei precedenti gradi del giudizio – come era suo onere – le specifiche ragioni che avrebbe potuto far valere dinanzi all’Amministrazione, tali da determinare un possibile esito diverso del procedimento.

3. Con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4 e 156, comma 3, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 1, comma 2 e 36, comma 2, n. 4 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, per carenza assoluta di motivazione (specifica), in relazione alle ragioni che avrebbero “convinto” il giudice di appello a ritenere che, in base alle clausole negoziali dell’atto istitutivo del trust, la proprietà sostanziale rimane in capo al contribuente, tanto da impedire l’individuazione della relativa ratio decidendi.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 Occorre premettere che l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053).

3.3 Deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; solo in tali casi la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3.11.2016, n. 22232).

3.4 La sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di confermare la validità degli avvisi di liquidazione sulla base degli argomenti puntualmente indicati nella decisione, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053).

4. Con il quarto motivo, deduce la violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e, per l’effetto, degli artt. 2 della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 (ratificata con L. 16 ottobre 1989, n. 364), lett. c) del comma 1 della Nota II-bis all’art. 1, Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986 e di quella (connessa) di cui al n. 21 della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nell’interpretare le clausole negoziali dell’atto istitutivo del trust e nell’individuare gli effetti giuridici realizzati a seguito del conferimento in trust dell’immobile sito in Matera, acquistato nel 2010, posto che da una corretta interpretazione di dette clausole si doveva desumere che il contribuente aveva perso definitivamente la proprietà degli immobili acquistati nel 2010, essendo questi confluiti in un patrimonio separato, non appartenente né al contribuente né al trustee, per essere poi attribuiti ai beneficiari finali del trust; rileva, inoltre, che il giudice di appello ha richiamato un indirizzo giurisprudenziale di legittimità inconferente, riguardante l’imposta sulle successioni e donazioni, in quanto, nel caso di “trust liberale (nonché discrezionale ed irrevocabile come quello di cui al presente ricorso)”, l’attribuzione patrimoniale stabile e definitiva si realizza solo nel momento in cui il trustee assegna i beni costituiti in trust ai beneficiari finali, ma ciò non implica anche che sino a quel momento detti beni “appartengano” ancora al disponente che, invece, perde in modo definitivo la titolarità giuridica, oltre che la disponibilità e il controllo, su detti beni, sicché il profilo della “strumentalità” e della “temporaneità” della titolarità dei beni in capo al trustee non incide sulla pienezza del suo diritto di proprietà, ma va interpretato nel senso che il trustee è limitato al perseguimento delle finalità indicate nell’atto istitutivo, essendo i beni destinati a giungere ai beneficiali finali designati, per decorso del termine di durata del trust o per altre ipotesi specificatamente indicate nell’atto istitutivo o nella legge regolatrice; evidenzia, infine, che la “temporaneità della posizione proprietaria del trustee” non implicava che il bene affidatogli ritornasse automaticamente in capo all’originario disponente o ad altro beneficiario finale, in quanto il patrimonio del trust era mutevole e il trust era di tipo discrezionale, essendo rimesso al trustee il potere di individuare i beneficiari finali, tanto che in data 12.11.2020 è stato ceduto a terzi, in base ad una libera scelta del trustee, e il ricavato della vendita è confluito nel patrimonio del trust.

4.1 Il motivo è infondato.

4.2 La Tabella A, parte seconda, n. 21, allegata al D.P.R. n. 633/1972 e richiamata dall’art. 16 dello stesso D.P.R., nel testo vigente ratione temporis, prevede che sono soggetti all’aliquota IVA del 4% la “case di abitazione ad eccezione di quelle di categoria catastale Al, A8 e A9, ancorché non ultimate, purché permanga l’originaria destinazione, in presenza delle condizioni di cui alla nota II- bis) all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. In caso di dichiarazione mendace nell’atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell’atto, si applicano le disposizioni indicate nella predetta nota;”.

4.3 Nella menzionata nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, con riferimento all’imposta di registro, e sempre nel testo vigente ratione temporis, si legge che: “1. Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni: a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto; b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare; c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo ovvero…..2. In caso di cessioni soggette ad imposta sul valore aggiunto le dichiarazioni di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1, comunque riferite al momento in cui si realizza l’effetto traslativo, possono essere effettuate, oltre che nell’atto di acquisto, anche in sede di contratto preliminare. 3. Le agevolazioni di cui al comma 1, sussistendo le condizioni di cui alle lettere a), b) e c) del medesimo comma 1, spettano per l’acquisto, anche se con atto separato, delle pertinenze dell’immobile di cui alla lettera a). Sono ricomprese tra le pertinenze, limitatamente ad una per ciascuna categoria, le unita’ immobiliari classificate o classificabili nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, che siano destinate a servizio della casa di abitazione oggetto dell’acquisto agevolato. 4. In caso di dichiarazione mendace o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonchè una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte. Se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonchè irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima. Sono dovuti gli interessi di mora di cui al comma 4 dell’articolo 55 del presente testo unico. Le predette disposizioni non si applicano nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.”

4.4 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, formatasi in materia di imposizione degli atti costitutivi e di dotazione del trust, l’istituzione di un “trust” ed il conferimento in esso di beni che ne costituiscono la dotazione sono atti fiscalmente neutri, in quanto non danno luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza, ad un incremento del patrimonio del “trustee”, che acquista solo formalmente la titolarità dei beni, per poi trasferirla al beneficiario finale (Cass. 24 dicembre 2020, n. 29507).

4.5 Secondo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985, ratificata con la legge n. 364 del 1989, con l’espressione trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti dal disponente, con atto tra vivi o mortis causa, ponendo dei beni sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.

4.6 Il trust può essere costituito per finalità eterogenee, ma gli elementi comuni sono: 1) un nucleo causale unitario costituito dalla combinazione dello scopo di destinazione con quello, ad esso strumentale, di segregazione patrimoniale; 2) l’attuazione del vincolo di destinazione mediante intestazione meramente formale dei beni al trustee ed attribuzione al medesimo di poteri gestori e di disposizione circoscritti e mirati allo scopo; 3) l’attribuzione al beneficiario (ove esistente) di una posizione giuridica che non è di diritto soggettivo, ma di aspettativa o di interesse qualificato ad una gestione conforme alla realizzazione dello scopo (Cass. n. 16699 del 21/06/2019).

4.7 Poiché si tratta di un mero “insieme” di beni e rapporti giuridici destinati ad un fine determinato nell’interesse di uno o più beneficiari (Cass. n. 10105/14, n. 3456/15, n. 2043/17, n. 31442/18), il trust è privo di personalità giuridica, con la conseguenza che soggetto legittimato nei rapporti, anche processuali, con i terzi è esclusivamente il trustee nella sua veste di gestore, formale intestatario dei beni ed esercente in proprio dei diritti correlati, il quale acquista la proprietà dei beni o dei diritti conferiti nel trust, non a proprio vantaggio – perché non incrementano il suo patrimonio personale, ma restano separati e segregati – ma per compiere gli atti di gestione (e, se previsti, di disposizione), che consentano di realizzare lo scopo per il quale il trust è stato istituito, non nell’interesse proprio, ma di terzi.

4.8 È stato anche precisato che l’apposizione del vincolo sui beni conferiti nel trust, in quanto tale, determina l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.), la quale non concreta, di per sé, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al trustee, ma soltanto al beneficiario finale, ove esistente, ma in un momento successivo, quando il trust ha raggiunto lo scopo per cui è stato costituito. Prima di questo momento, l’utilità, insita nell’apposizione del vincolo, si risolve, dal lato del conferente, in un’autorestrizione del potere di disposizione, mediante la segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, separata dai beni personali del trustee (Cass. n. 29507/2020 cit.).

4.9 Sempre con riferimento all’imposta di registro e alle imposte ipotecaria e catastale, è stato altresì affermato che: “Il trasferimento del bene dal “settlor” al “trustee” avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del “trust” (Cass. n. 975/2018).

4.10 La natura meramente formale, strumentale e temporanea che caratterizza la proprietà immobiliare istituita in capo al trustee incide anche sulla questione riguardante la verifica dei requisiti per il riconoscimento della agevolazione “prima casa”, secondo la disciplina vigente ratione temporis, ai sensi della nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in quanto fra detti requisiti vi è quello della cd. “impossidenza” (la mancanza, al momento dell’atto di acquisto, della titolarità di altra abitazione acquistata con l’agevolazione “prima casa”).

4.11 Il conferimento dei beni al trust, come si è già detto, produce soltanto efficacia “segregante”, sia perché di detti beni il trustee non è proprietario, bensì amministratore, sia perché gli stessi non possono che essere trasferiti ai beneficiari. Da detta segregazione non deriva, quindi, alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, che si realizzeranno solo successivamente in favore dei beneficiari (Cass. n. 21614 del 26/10/2016).

4.12 Si tratta di un trasferimento non definitivo, non stabile e con limitazioni d’esercizio e godimento; esso non da luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza, che si realizza solo in un momento successivo, laddove il trasferimento dei beni sia disposto a favore dei beneficiari del trust, se diversi dal disponente.

4.13 Di conseguenza, poiché l’atto di dotazione del trust non comporta l’attribuzione definitiva dei beni a vantaggio del trustee, lo stesso non determina, in capo al disponente, quella situazione di “impossidenza”, richiesta dalla norma sull’agevolazione “prima casa”, per potere accedere nuovamente al beneficio.

5. Con il quinto motivo, denuncia la violazione degli artt. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, perché la CTR ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello, con il quale è stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado per il mancato accoglimento del motivo relativo alla illegittimità degli avvisi di liquidazione, in ragione della mancata osservanza dell’iter procedimentale ex art. 10-bis, L. n. 212/2000, avendo l’Ufficio contestato che il contribuente aveva “abusato della norma sulla agevolazione prima casa”.

6. Con il sesto motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4 e 156, comma 3, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 1, comma 2 e 36, comma 2, n. 4 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, per carenza assoluta di motivazione (specifica), in relazione alle ragioni per cui il giudice di appello ha implicitamente rigettato il motivo di illegittimità degli atti impugnati per violazione dell’art. 10-bis, L. n. 212/2000, tanto da impedire l’individuazione della relativa ratio decidendi.

7. Con riferimento ai predetti motivi, che vanno esaminati congiuntamente per connessione, occorre premettere che, secondo l’indirizzo ormai costante di questa Corte, a cui questo Collegio intende dare continuità, “Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (ex plurimis, Cass. 28.06.2017, n. 16171).

7.1 Benché sulla asserita violazione dell’art. 10-bis della L. n. 212 del 2000 la CTR non si sia effettivamente pronunciata, si tratta di censura palesemente infondata, in quanto la revoca della agevolazione non si fondava sull’abuso del diritto, come si evince chiaramente dalla motivazione degli avvisi di liquidazione, nelle parti riportate dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorrente nel testo del ricorso per cassazione, ma sulla mancanza delle condizioni per beneficiare della riduzione delle imposte.

8. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna A.A. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 7.600,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

 

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