Confisca per equivalente su beni di una società per violazioni commesse dai suoi organi: limiti.

by Luca Mariotti

La Sentenza 13 maggio 2015 n. 19761 della Corte di Cassazione ripropone il tema della confisca per equivalente su beni di una persona giuridica in rapporto a violazioni commesse da persone ad essa riconducibili.

Nel caso specifico, dopo una complessa controversia giudiziaria, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria aveva respinto la richiesta di riesame avanzata dai soci di una srl del settore alimentare nei confronti del decreto di sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto terreni e beni di una srl per violazioni commesse da uno di loro in ambito di IVA e accise su carburanti. La motivazione del provvedimento, impugnato dinanzi alla Suprema Corte, fondava la ritenuta mancanza assoluta di autonomia della società rispetto alla persona fisica dell’indagato, con funzione di mero schermo, esclusivamente sulla composizione societaria, che vede peraltro coinvolti numerosi altri soggetti, ancorché familiari del predetto. Nel suo argomentare, inoltre, non pareva fornire una spiegazione adeguata riguardo alla riconducibilità all’attività illecita oggetto d’indagine dell’operato della suddetta società, ancorché essa svolgesse, come si evince dall’oggetto sociale e salva dimostrazione del contrario, attività d’impresa in un settore economico completamente diverso da quello in cui si sarebbe verificata la sottrazione all’accisa e all’IVA alla base del provvedimento.

La Corte richiama l’orientamento consolidato in punto di interpretazione dell’art. 24 L. 231/2011, che recentemente ha ricevuto il riconoscimento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 10561 del 30/01/2014), secondo cui non è possibile la confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi da suoi organi, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisca come effettivo titolare, come affermato in numerose pronunzie (nello stesso senso Sez. 3, n. 42476 del 20/09/2013; Sez. 3, n. 42638 del 26/09/2013; Sez. 3, n. 42350 del 10/07/2013, S.; Sez. 3, n. 33182 del 14/05/2013; Sez. 3, n. 15349 del 23/10/2012; Sez. 3, n. 1256 del 19/09/2012; Sez. 3, n. 33371 del 04/07/2012; Sez. 3, n. 25774 del 14/06/2012; Sez. 6, n. 42703 del 12/10/2010). Soltanto in una simile ipotesi, infatti, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio.

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