Componenti di reddito ad effetto pluriennale e decadenza del potere di accertamento: la questione alle Sezioni Unite?

by Luca Mariotti

L’ Ordinanza interlocutoria 5 giugno 2020, n. 10701 della Sezione Tributaria (Pres. Cirillo, Rel. Nicastro) pone la questione se l’amministrazione finanziaria possa rettificare una dichiarazione dei redditi (ovviamente, entro il relativo termine per l’accertamento) contestando un componente di reddito a efficacia pluriennale, sulla base di una diversa ricostruzione o qualificazione giuridica dei fatti costitutivi di esso, quando tali fatti siano avvenuti in un precedente periodo d’imposta la cui dichiarazione non può più essere rettificata per essere decorso il relativo termine di decadenza.

La questione, nota da tempo ma per la verità già orientata in senso di tutela del contribuente, in altre parole, investe la questione se, nel caso di componenti di reddito a efficacia pluriennale, la decadenza dalla potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria, che intenda contestare un tale componente sulla base di una diversa ricostruzione o qualificazione giuridica dei suoi fatti costitutivi, si determini con il decorso del 31 dicembre del quarto (ora quinto) anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dove è indicato il singolo rateo in cui il componente reddituale è suddiviso ovvero con il decorso del 31 dicembre del quarto (ora quinto) anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il componente reddituale è maturato ed è stato contabilizzato e iscritto per la prima volta in bilancio.

Nel caso specifico il problema si in riferimento alla rettifica delle dichiarazioni in cui sono indicate le quote in cui è suddiviso l’ammontare delle svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio che supera lo 0,60 per cento del valore degli stessi crediti deducibile in ciascun esercizio; ammontare che l’art. 106, comma 3, secondo periodo, del d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo applicabile ratione temporis, consentiva agli enti creditizi e finanziari di dedurre «in quote costanti nei nove esercizi successivi».

Ma come rileva la quinta sezione “la questione ha, peraltro, una portata generale, giacché si pone in modo analogo con riguardo a tutti componenti di reddito che originano da una fattispecie a efficacia pluriennale, quali, tra gli altri, le quote di ammortamento del costo di beni e le quote di spese relative a più esercizi, quando tali costo o spese siano stati sostenuti e iscritti per la prima volta in bilancio in un periodo d’imposta per il quale l’amministrazione finanziaria sia ormai decaduta dal termine per l’accertamento”.

Dopo aver esaminato due precedenti, ovvero Cass. n. 9993 del 2018 e n. 2899 del 2019, per la verità favorevoli al contribuente (va detto che la società accertata era in questa vicenda già vittoriosa in primo e in secondo grado) la Corte esamina gli aspetti normativi.

Rileva al riguardo che l’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 dispone che «[g]li avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto [ora quinto] anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione». Tale disposizione stabilisce quindi che il termine di decadenza dal potere impositivo decorre dalla presentazione di ciascuna dichiarazione, senza prevedere alcuna regola derogatoria per i componenti di reddito pluriennali. Ma con le ricordate pronunce n. 9993 del 2018 e n. 2899 del 2019, la Corte è invece pervenuta alla diversa conclusione che, con riguardo ai ratei dei suddetti componenti reddituali pluriennali il recupero a tassazione, da parte dell’amministrazione, salvo che dipenda dalla mera erronea determinazione del rateo (per l’applicazione di un’aliquota errata o per errore di fatto nel calcolo del suo ammontare), deve avvenire entro il termine per la rettifica della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il componente reddituale è maturato  ed è stato contabilizzato e iscritto per la prima volta in bilancio. Per pervenire a questa conclusione, le predette pronunce hanno tratto dall’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 la regola – che il citato testo di tale disposizione non sembrerebbe, almeno primo visu, come si è detto, esprimere – secondo cui la decadenza prevista da tale comma impedisce all’amministrazione finanziaria di contestare i fatti costitutivi dei componenti reddituali pluriennali nel senso di precludere la rettifica, con riguardo agli stessi fatti, delle dichiarazioni successive ancorché esse siano, per gli altri profili, ancora contestabili.

Malgrado ciò la Corte si chiede se la lettura “restrittiva” dell’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, fatta propria da Cass. n. 9993 del 2018 e n. 2899 del 2019, possa trovare giustificazione, sul piano dell’interpretazione logica e costituzionale, con riferimento alla disciplina del dovere di conservazione della documentazione fiscale, che è previsto in termini più lunghi di quelli dell’articolo 43 citato (cfr. art. 22 DPR 600/73 e art. 8, comma 5, dello “Statuto”).

Quindi la Sezione Tributaria rimette in discussione i principi già derivati dalla giurisprudenza con un riferimento alla conservazione della documentazione, che ci permettiamo di ritenere affatto significativo rispetto alla normativa specifica sulla decadenza. Su questo cardine si doveva e si poteva forse porre qualche dubbio interpretativo, a nostro modesto avviso, e non certo su un riferimento di Legge che appare non del tutto pertinente.

La questione va al Primo Presidente per un eventuale rinvio alle Sezioni Unite, dunque. Più per una traslazione dei principi di interpretazione che per un “focus” reale sulla questione normativa da interpretare. Si fa insomma quello che tanto piace all’Agenzia nelle proprie circolari e in talune risoluzioni laddove si invoca un criterio sistematico richiamando principi non pertinenti o secondari. Ma la Sezione Tributaria, da qualche anno e sempre più spesso di recente, pare casualmente avere una linea di questo tipo, detto ciò ovviamente senza sottintesi e con il massimo rispetto per i Giudici della Corte.

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