E’ sempre più difficile trovare giurisprudenza tributaria favorevole al contribuente anche quando la Legge parrebbe essere in linea con le ragioni del privato, Ciò sia nei gradi di merito sia, con buona pace di chi ritenga l’arrivo dei Giudici Tributari di carriera come la panacea di tutti i mali, nei giudizi di legittimità. Giudizi nei quali oggi, diversamente che in passato, l’Avvocatura riesce quasi sempre a prevalere sui migliori studi legali tributari italiani.
L’ordinanza n. 35147 del 31 dicembre 2024 della quinta sezione della Corte di Cassazione (Pres. Federici, Rel. Nonno) si distacca da questo andamento prevalente dato che i Giudici respingono un ricorso dell’Agenzia delle Entrate in relazione ad una vicenda che riguarda un diniego tacito di rimborso di tributi.
Il ricorso era fondato su un unico motivo con il quale AdE deduceva, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione, dedotta in appello, concernente la mancata prova dell’esistenza del credito IVA chiesto a rimborso, gravando il relativo onere sul contribuente.
La Corte rammenta (senza alcun riferimento specifico a precedenti pronunce) il proprio orientamento secondo cui “In tema di contenzioso tributario, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno. (Nella specie, la S.C. ha affermato che la necessità della notificazione della cessione del credito anche al concessionario della riscossione, ai fini della sua efficacia, integra una mera difesa, traducendosi nella contestazione della sussistenza, in tutti i suoi elementi, del fatto costitutivo del diritto al rimborso del credito ceduto, deducibile dall’Amministrazione per la prima volta in appello)”.
Ciò premesso i Giudici sintetizzano precisando che “In buona sostanza, alla luce del superiore principio di diritto” può dirsi che: i) l’onere della prova della sussistenza di un credito da rimborsare grava sul contribuente; ii) la motivazione del provvedimento di diniego non è esaustiva, ben potendo l’Amministrazione finanziaria formulare nuove eccezioni anche in giudizio, eccezioni che – a fronte della richiesta di rimborso – costituiscono mere difese; iii) tali eccezioni possono essere formulate per la prima volta anche in appello, salvo che la questione sia coperta da un giudicato interno sull’esistenza del credito.
Su questa lettura (che appare quasi come un “vademecum” per gli Uffici) ci sia consentito dissentire, con tutto il rispetto per il “superiore principio di diritto”, soprattutto in relazione al punto iii) che pare essere in aperto contrasto con il secondo comma dell’articolo 57 del D.Lgs. 546/92 secondo cui “Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”.
Quanto al caso specifico però i Giudici rilevano che la CTP ha chiaramente affermato che il credito IVA sussiste in quanto non contestato dall’Amministrazione finanziaria. Tale statuizione della CTP non è stata specificamente impugnata da AE, che si è limitata ad affermare in appello, in via del tutto generale, che l’onere di provare la spettanza del credito spetta al contribuente ai sensi dell’art. 2697 cod. civ. Si tratta di un’affermazione astrattamente corretta, ma che non tiene conto di quanto statuito dal primo giudice in ordine alla sussistenza del credito, con conseguente formazione di un giudicato interno in parte qua. Va, dunque, esclusa l’omessa pronuncia da parte della CTR in quanto il giudice regionale non aveva l’onere di pronunciarsi su di una circostanza (la violazione della regola di riparto dell’onere probatorio) del tutto superflua ai fini della decisione, posto il giudicato interno sulla sussistenza del credito.
Alla fine il ricordo di AdE viene respinto con condanna alle spese, precisando in motivazione che il valore della causa è limitato a 8.000 euro. Nel dispositivo le spese si liquidano il 2.400 euro. Ci sia consentito rilevare al riguardo che nei siti specializzati per il calcolo degli onorari ai sensi decreto 10 marzo 2014, n. 55 la cifra media (sempre al netto della maggiorazione del 15%) è di 4.006,60 euro.