Beni acquisiti da una catena di soggetti (forse) interposti rispetto al reale venditore: secondo la Corte UE l’IVA sugli acquisti resta detraibile salvo che venga provata una frode.

by Luca Mariotti

L’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che, per negare il diritto di detrarre l’imposta sul valore aggiunto (IVA) versata a monte, la circostanza che un acquisto di beni sia avvenuto al termine di una catena di operazioni di vendita successive tra varie persone e che il soggetto passivo sia entrato in possesso dei beni in oggetto nel deposito di una persona facente parte di tale catena, diversa dalla persona che compare quale fornitore sulla fattura, non è di per sé sufficiente per constatare l’esistenza di una pratica abusiva da parte del soggetto passivo o delle altre persone coinvolte nella suddetta catena, essendo l’autorità tributaria competente tenuta a dimostrare l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale di cui abbiano goduto tale soggetto passivo o tali altre persone.

Questo il principio di diritto alla base della sentenza 10 luglio 2019 della Corte di Giustizia UE (Ottava Sezione) nella causa n. C-273/18.

La Kuršu zeme è una società con sede in Lettonia che, da febbraio a dicembre 2012, ha dichiarato operazioni di acquisto di beni da un’altra società stabilita in Lettonia, la KF Prema, e ha detratto l’IVA versata a monte relativa a tali operazioni.

In occasione di un accertamento fiscale, il VID ha constato che tali acquisti erano avvenuti al termine di una catena di operazioni successive tra varie società. I beni in parola erano stati infatti venduti inizialmente dalla AB “Baltfisher”, una società con sede in Lituania, a due società stabilite in Lettonia. Essi erano stati poi rivenduti da quest’ultime ad un’altra società stabilita in Lettonia che li ha rivenduti alla KF Prema, la quale li ha infine rivenduti alla Kuršu zeme, la quale ha effettuato essa stessa il trasporto dei suddetti beni da Klaipėda (Lituania), sino al suo impianto situato in Lettonia.

Non avendo potuto trovare una spiegazione logica a tale catena di operazioni, la VID ha considerato, da un lato, che le società intermediarie non avessero in realtà esercitato alcuna attività nella realizzazione dell’acquisto dei beni in oggetto e, dall’altro, che la Kuršu zeme non poteva ignorare la natura artificiale della suddetta catena.

La VID ha dunque ritenuto che la Kuršu zeme avesse in realtà acquistato i beni in causa direttamente dalla Baltfisher e ha quindi qualificato gli acquisti in parola come “acquisti intracomunitari”. Di conseguenza, con decisione del 29 aprile 2014, la VID ha rettificato le dichiarazioni dell’IVA presentate dalla Kuršu zeme includendo il valore dei beni di cui trattasi nel valore dei beni acquistati da altri Stati membri, aumentando conseguentemente l’IVA dovuta e riducendo nel contempo in maniera corrispondente l’IVA versata a monte che la Kuršu zeme aveva dichiarato.

Il problema verte sulla corretta applicazione della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010. In particolare dell’articolo 168, formulato nei termini seguenti:

“Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo”

Per la Corte (punto 36) occorre ricordare che il fatto che si riceva un bene direttamente da colui che emette la fattura non è necessariamente la conseguenza di un occultamento fraudolento del reale fornitore e non costituisce necessariamente una pratica abusiva, ma può avere altre motivazioni, quali, in particolare, l’esistenza di due vendite successive riguardanti i medesimi beni, i quali, su ordine, sono trasportati direttamente dal primo venditore al secondo acquirente, cosicché si verificano due cessioni successive ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva IVA, ma un solo trasporto effettivo. Inoltre, non è necessario che il primo acquirente sia divenuto proprietario dei beni in parola al momento di tale trasporto, posto che l’esistenza di una cessione ai sensi di tale disposizione non presuppone il trasferimento della proprietà giuridica del bene (v., in tal senso ordinanza, del 6 febbraio 2016, Jagiełło, C‑33/13, non pubblicata, EU:C:2014:184, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

Nel caso di specie, “dalla decisione di rinvio risulta che il VID non ha né dimostrato, nella causa di cui al procedimento principale, l’indebito vantaggio fiscale di cui la Kuršu zeme avrebbe beneficiato, né ha individuato gli eventuali indebiti vantaggi fiscali ottenuti dalle altre società coinvolte nella catena di operazioni successive di vendita dei beni in parola al fine di verificare se l’obiettivo reale delle suddette operazioni consistesse unicamente nell’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale. Conseguentemente, occorre considerare che la sola esistenza di una catena di operazioni e il fatto che la Kuršu zeme sia entrata fisicamente in possesso dei beni di cui trattasi nel deposito della Baltfisher senza riceverli effettivamente dalla società che compare quale fornitore di tali beni nella fattura, ossia la KF Prema, non possono, come constatato anche dal giudice del rinvio, di per sé giustificare la conclusione che la Kuršu zeme non abbia acquistato i suddetti beni presso la KF Prema cosicché l’operazione intercorsa tra tali due società non avrebbe avuto luogo”.

Come sempre la Corte UE, rispetto alla nostra Cassazione, pone le questioni in termini sostanziali e non formali e limita il diritto alla rivalsa solo quando vi sia evidenza di una situazione di indebito vantaggio fiscale. Ma sappiamo che in ambito IVA, anche nel diritto interno, le sentenze della Corte di Giustizia sui tributi amministrati servono per regolare i casi concreti.

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