“Il cessionario può ben far valere la natura sussidiaria della propria obbligazione, eccependo dinanzi al giudice tributario, in sede d’impugnazione della cartella, il beneficium excussionis, seppur la notifica della cartella senza la previa escussione dei beni dell’obbligato principale non costituisca vizio proprio della cartella tale da determinarne la nullità; ponendosi comunque, per il giudice adito, la necessità di verificare che, affinché l’Amministrazione finanziaria possa far valere direttamente il proprio credito direttamente nei confronti del cessionario, emerga dagli atti l’incapienza del patrimonio della cedente quale obbligata principale.”.
Questo il principio di diritto ribadito con sentenza n. 32139 del 31 ottobre 2022 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Sorrentino, Rel. Napolitano).
Nei fatti l’Agenzia delle entrate notificò ad una S.r.l., nella qualità di cessionaria di ramo d’azienda, a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 60071973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972 sulle dichiarazioni Modello UNICO presentate dalla S.r.l. cedente per gli anni 2004 e 2005, due cartelle di pagamento. La S.r.l. impugnò dinanzi alla CTP di Benevento ciascuna cartella, con separati ricorsi, per diversi motivi, tra i quali la dedotta nullità delle cartelle per mancata previa escussione del patrimonio della società cedente il ramo d’azienda; la CTP di Benevento, riuniti i ricorsi, li accolse. La CTR della Campania accolse invece il gravame dell’Ufficio. Avverso detta pronuncia proponeva ricorso la contribuente censurando la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 472/1997, laddove la CTR affermava, in relazione al beneficium excussionis opposto dalla cessionaria, la carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate, dovendo essa radicarsi in capo unicamente al concessionario della riscossione.
Come fatto notare dalla Corte la sentenza n. 28709 del 16 dicembre 2020 le Sezioni Unite hanno espresso il principio di diritto così massimato: “in tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l’amministrazione creditrice a dover provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale… Ne consegue che, se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario”.
Come evidenziato nell’occasione dalla Corte detto principio è da intendersi riferito anche alla fattispecie di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 472/1997, riguardante la cessione di azienda o di ramo d’azienda.
La Corte, accolto il ricorso della società contribuente, cassando la sentenza ha rimarcato come tale accertamento di fatto non risulta essere stato in alcun modo compiuto dal giudice di merito, essendosi limitata la CTR ad escludere, erroneamente, che destinataria del beneficium excussionis opposto dalla cessionaria potesse essere l’Amministrazione finanziaria titolare del credito iscritto a ruolo.
(commento a cura del Dott. Lorenzo Tortelli)
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