La sezione Tributaria della Corte di Cassazione con l’Ordinanza interlocutoria 4 marzo 2025, n. 5714 (Pres. Cirillo, Rel. Macagno) rimette gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite in relazione alla corretta interpretazione del nuovo articolo 21-bis del D.Lgs. 74/2000.
Il Collegio ritiene, in sostanza, che, considerati la non uniformità della decisioni assunte negli ultimi mesi e la rilevanza dei principi sottesi, di ambito generale, possano ricorrere i presupposti per una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c., in merito all’ambito di efficacia dall’art. 21-bis D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, in vigore dal 29 giugno 2024, quindi trasposto nell’art. 119 del Testo unico della giustizia tributaria (D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175), vigente dal 1 gennaio 2026, sia in relazione al profilo della estensione anche al rapporto impositivo degli effetti della sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa ad esito del dibattimento con la formula “perché il fatto non sussiste”, sia in ordine alla applicabilità della nuova disciplina alla ipotesi di assoluzione con la formula prevista dal secondo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale.
La pronuncia è scritta in modo chiaro e riassume sistematicamente i diversi orientamenti. Rimandiamo quindi i nostri lettori al testo dell’ordinanza.
L’articolo in questione, ricordiamo, è il seguente:
Art. 21-bis. Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione
1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.
2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati.
Abbiamo visto già che una corposa e finanche ridondante sentenza dello scorso febbraio (la numero 3800/2025) la quinta sezione, evocando molti principi forse non tutti perfettamente attinenti alla questione, aveva ristretto l’applicazione della regola, quanto al giudizio tributario, solo alle sanzioni e non anche al tributo. Da qui le molteplici critiche della dottrina fondate sulla lettera della norma (che consiste nell’accertamento dei fatti i quali non possono non impattare sul rapporto di imposta) e sull’applicazione del principio del ne bis in idem contenuto nella delega (L. 111/2023), principio procedimentale e non soltanto sanzionatorio implicando il diritto a non essere giudicato due volte per la stessa violazione (art. 50 CDFUE).
Interessante, ma più tecnica, la questione della applicabilità della nuova disciplina alla ipotesi di assoluzione con la formula prevista dal secondo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale. Questione che parrebbe la tipica occasione di una interpretazione costituzionalmente orientata rispetto ai criteri di uguaglianza e ragionevolezza.
Non resta a questo punto che seguire gli sviluppi della vicenda.