Ci vorrà più tempo di quello riservato a un commento breve per esaminare le lunghe motivazioni della Sentenza 30051 depositata il 21 novembre 2024 con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Primo Presidente: Cassano, Relatore: Fuochi Tinarelli) hanno deciso sulle questioni rimesse al Primo Presidente dalla ordinanza interlocutoria n. 33665 del 2023, depositata il 1 dicembre 2023, della Sezione Tributaria
La Sezione Tributaria aveva chiesto di valutare l’opportunità dell’assegnazione della stessa alle Sezioni Unite civili, ravvisando un contrasto interpretativo negli orientamenti interni della Sezione, oltre che la particolare importanza delle questioni di diritto sottese, in ordine ai limiti per l’esercizio della autotutela tributaria quanto alla natura dei vizi dell’atto impositivo, all’ammissibilità di provvedimenti di annullamento e sostituzione dell’atto viziato in malam partem per il contribuente, nonché ai rapporti tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo.
Prima di tutto i principi di diritto enunciati. Testualmente:
“in tema di accertamento tributario, il potere di autotutela tributaria, le cui forme e modalità sono disciplinate dall’art. 2-quater, comma 1, D.L. n. 564 del 1994, conv. dalla legge n. 656 del 1994 e dal successivo D.M. n. 37 del 1997, di attuazione, e, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10-quater e 10 quinquies, legge n. 212 del 2000, trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa”.
“In tema di accertamento tributario, l’autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall’accertamento integrativo, previsto dagli artt. 43, quarto comma (ora terzo), D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, quarto comma, D.P.R. n. 633 del 1972, che pure comporta l’emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria, posto che, nel primo caso, la valutazione investe l’atto originario che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d’imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l’esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso; ne consegue che il requisito della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva ancorché fonte di una maggiore imposizione”.
“In caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’agenzia fiscale anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità”.
La questione che sta destando più perplessità nei primi commenti è la statuizione che l’amministrazione, entro i termini decadenziali, può sempre sostituire un atto impositivo in autotutela con uno nuovo peggiorativo per il contribuente (in malam partem), per l’esistenza di vizi sia formali, sia sostanziali.
Questa autotutela sostitutiva va ad operare in un ambito nel quale finora operava la preclusione relativa all’accertamento rettificativo del precedente che è inibito se non sia giustificato dalla conoscenza di nuovi elementi.
Quindi il contribuente può subire anche mille accertamenti basati sugli stessi elementi, ognuno rettificativo del precedente. Basta che il precedente sia sbagliato!
Poco significative appaiono le argomentazioni sul legittimo affidamento del contribuente (riferito all’atto viziato). La questione non si pone infatti su questo profilo, del tutto inconsistente, quanto in termini di mero rispetto della Legge (artt. 43, quarto comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57, quarto comma, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) tuttora vigenti. Nonché di vari altri principi di derivazione unionale tra cui ci viene in mente, ad esempio, quello di proporzionalità (articolo 5 Trattato Ist. UE).
Tratteremo più approfonditamente la questione nel prossimo numero della rivista.
Nel frattempo è da osservare come la motivazione appaia, con tutto il rispetto per la Corte, una sorta di “Frankenstein” giuridico-tributario nel quale coesistono principi di diritto amministrativo, norme costituzionali di riferimento in ambito tributario, sviluppi giuridico-deduttivi del tutto opinabili quanto a collegamento logico tra premesse e conclusioni.
La storia dell’autotutela tributaria, ormai trentennale, subisce un altro colpo, ancor più duro, in linea interpretativa, di della Corte Costituzionale del 2017. Forse è davvero giunto il momento di uscire per via legislativa dal solco di un istituto di matrice amministrativa che è stato utile forse per sbloccare il concetto iniziale di indisponibilità dell’obbligazione tributaria ma che alla lunga non si è dimostrato compatibile con il diritto tributario. E di parlare finalmente non più di “autotutela obbligatoria”, ad esempio, che suona quasi come una contraddizione in termini, ma di “revisione obbligatoria”. Non di “potere di autotutela” ma di “dovere di revisione”. E così di seguito. Per sottrarre finalmente un principio di civiltà giuridica dalle macchinosità interpretative funzionali direttamente o indirettamente alla mera produzione di gettito.