Abuso del diritto: non basta il risparmio d’imposta.

by Luca Mariotti

Desideriamo segnalare una interessante, molto argomentata e, per più di un aspetto, innovativa pronuncia sull’abuso del diritto della Corte di Cassazione. Si tratta della Sentenza 05 dicembre 2014, n. 25758 con cui si è esaminato il caso di un’operazione di “sale and lease back” che avrebbe avuto, secondo l’Agenzia, una connotazione elusiva sotto il profilo dell’abuso del diritto.

La contribuente ha contestato nel ricorso la mancata individuazione, nell’accertamento, del presupposto del vantaggio fiscale che la società avrebbe conseguito dalla operazione posta in essere. Inoltre l’amministrazione (ed i Giudici di merito) avrebbero omesso del tutto di indicare quale “operazione alternativa” la società avrebbe dovuto correttamente compiere in luogo di quella elusiva, e dunque di individuare il regime fiscale applicabile in base al quale doveva essere liquidata la maggiore imposta oggetto della pretesa tributaria.

Nei fatti secondo la società gli elementi della fattispecie concreta non potevano condurre alla configurabilità di pratiche abusive in quanto la operazione era stata condotta per acquisire la liquidità sufficiente (lire 2.500.000.000) necessaria ad estinguere alcuni debiti bancari (lire 250.000.000) e per utilizzare il residuo importo in investimenti relativi alla azienda, nonché per il pagamento dei corrispetti ai fornitori e dei contributi INPS (per circa lire 1.000.000.000). Quanto al notevole importo della prima maxi-rata (lire 800.000,000), lo stesso era conforme alla prassi di settore ed al rischio sostenuto da C.L. Banca s.p.a. in considerazione della vetustà e della localizzazione del bene (acquistato dalla contribuente nel 1993 ed ubicato in un paese di montagna).

La Corte afferma che secondo la giurisprudenza comunitaria (la cui elaborazione della figura dell’abuso del diritto tributario in ambito di tributi armonizzati è stata recepita dalla giurisprudenza di legittimità ed estesa anche ai tributi non armonizzati) perché si possa parlare di pratica abusiva, occorre che si verifichino due condizioni. Da un lato, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un “vantaggio fiscale” la cui attribuzione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni. Dall’altro, deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo “scopo essenziale” dell’operazione controversa è l’ottenimento di detto vantaggio fiscale (v., in tal senso. Corte Giustizia sentenza 21,2.2006, causa C-255/02, Halifax pie, punti 74 e 75; id. sentenza in data 21.2.2008, causa C-425/06, Part Service s.r.l., punto 58; id. sentenza in data 27.10.2011, causa C-504/10, Tanoarch s.r.o., punto 52; id. sentenza in data 22.3.2012, causa C-153/11, Klub OOD; id. sentenza in data 20.6.2013 , causa C-653/11, Newey, punto 46).

Orbene, nel caso di specie, la Commissione tributaria ha affermato il carattere “indebito” del vantaggio fiscale, ritenendo che la complessiva operazione economica, attraverso la stipula di un lecito contratto di “sale & lease back’ perveniva sostanzialmente al medesimo risultato giuridico-economico di una operazione di concessione di un finanziamento bancario. L’impiego del negozio di “sale & lease back” era volto esclusivamente a consentire -secondo la Commissione tributaria- la maggiore deducibilità dei canoni di leasing rispetto ai soli interessi passivi che sarebbero stato deducibili con la stipula di un contratto di mutuo.

Ma secondo la Corte, come più volte ribadito dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità la opzione del soggetto passivo per la operazione negoziale che risulti fiscalmente meno gravosa non costituisce ex se condotta “contraria” allo scopo della disciplina normativa tributaria, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà di scelta.

Occorre, infatti, che ulteriori elementi circostanziali emergano dalla fattispecie concreta sottoposta all’esame del Giudice affinché la operazione possa connotarsi come pratica abusiva non consentita. E, secondo la Corte, questi elementi non sono stati ravvisati nella sentenza di merito impugnata.

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